Auditel

Dal diario di Shelters for Silence, Act I
Monteviasco - Valveddasca - Italia
Gennaio 2013



A Gian (nome fittizio) saranno rimaste due paia di denti al massimo. Ha un’aria risoluta, alza le spalle spesso e sorride di continuo. Mi ricorda tremendamente i modi gentili anche se impacciati di mio nonno.
Abitiamo vicini, lui è il solo altro abitante della mia via. Ha una vita piena di vino pessimo e televisione. Sono andato spesso a trovarlo di recente, mi offre sempre quel vino terribile dentro a bicchieri consumati in decenni di bevute.
La ragione per cui sceglie proprio una sottomarca di vino in cartone è terribilmente pragmatica: il bidone per buttare il vetro è troppo lontano. Ci sono scalini, stradine coperte di ghiaccio o neve. Impossibile andare fino là a buttare le bottiglie vuote. Inconcepibile chiedere a qualcuno la cortesia di farlo per lui.
Chiacchieriamo un po’. Ogni volta le stesse domande.

“C’è la televisione lì dove sei in affitto?”
Si, ma non la guardo. Non ho nemmeno provato a inserire la spina.
“Ma sei impazzito? La televisione è bella. E poi tiene compagnia. Tiene compagnia alla gente, capisci? Non importa se non la guardi, comunque è lì che fa compagnia. Pensa chissà com’era triste una volta... Mica è tanto che c’è!”
Va bene, ma io preferisco la compagnia della musica e alla sera guardo un bel film senza la pubblicità, sul computer.
“Ah, il computer… Senti ma ci sono le donnine nude sul tuo computer?”
Ci sono, se le si cerca.
“Beh allora è meglio che non lo dici alla tua biondina che ce l’hai, il computer!”

Riflette un poco, mentre Raiuno si trascina con il suo palinsesto rassegnato. “Ma non ho capito, questa tua televisione funziona? O  è rotta?”
Non ho ancora provato ad accenderla, Gian.
Si alza, cammina lentamente e tremolante fino al televisore. Prende il telecomando in mano, me lo mostra avvicinandolo molto ai miei occhi. Me lo sbatte praticamente in faccia. “Vedi, giovanotto che non mi ricordo mai come ti chiami?
Puoi usare il telecomando per cambiare canale. Così!” schiaccia il 5: “Ecco, questo è Canale 5. E così siamo sul 2!” E avanti  tutta con lo zapping tra reti private e pubbliche, locali e nazionali. Torna a sedersi e posa il telecomando sulla tovaglia ancora zeppa di briciole.
Si rialza presto in piedi, irrequieto. Ora è appoggiato alla credenza, a pochi centimetri dal televisore. “Forse la tua televisione non si vede perché il telecomando è rotto. Allora devi provare con il tasto proprio qua!” Spegne e riaccende usando il tasto direttamente sotto lo schermo, affannato da questa faccenda.

Ogni volta è la stessa storia. Non sempre provo a spiegargli le mie ragioni di non guardare la tv, qui durante il mio periodo di ritiro. Spesso lo assecondo, annuisco ai suoi commenti sui programmi ma quasi sempre la mia ignoranza in tema di gialli familiari italiani irrisolti mi tradisce.
I casi di Yara, Cogne, Sara Scazzi, Erba eccetera, sono per Gian lutti che vive con un dolore quasi personale. Sente opinionisti, criminologi, esperti dell'opinione, qualunquisti di questo e quello parlarne quotidianamente, per pomeriggi interi. Da anni.
La televisione a Monteviasco, per chi proprio non si sposta, è uno dei pochi contatti con il mondo che si srotola all'altro capo dei cavi della funivia.
Una finestra con tubo catodico dalla quale si possono osservare folle di persone convinte nel preferire l'auditel alla dignità. Tramite i processi di Forum, le cascate di insulti, pianti, confessioni di esperienze umilianti; tramite le storie di immigrati assassini, disoccupati assassini, cornuti assassini, pedofili e pedofili assassini, il panorama appare da quassù assai funesto e difficile da non temere.

Tra un bicchiere di vino in cartone e un’opinione qualunquista sull'omicidio di chissà quale bambina, gli ho parlato del mio progetto di fotografia.
“Gian, io vorrei scattarle delle fotografie per la mia scuola. Voglio raccontare Monteviasco nel suo quotidiano. Voglio raccontare i suoi abitanti. La infastidisce?”
Alza un sopraciglio, ci beve su e poi sorridente: “50 euro, grazie!”
Brindiamo, per non sbagliare. Michele Cocuzza sembra approvare, ammiccante nello schermo.
Gian sorride, si mette in posa, non smette di ringraziarmi chissà perché e di riempire i bicchieri.


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