Il circolo

Dal diario di: Shelters for Silence - Act I
Monteviasco - Valveddasca - Italia
Gennaio 2013




“but as God said,
Crossing his legs,
I see where I made plenty of poet,
But not so very much
Poetry.”

(Charles Bukowski)


Dopo una settimana in cui mi reco al Circolo quotidianamente e più volte nel pomeriggio, nella speranza di attaccare bottone e strappare un qualche segnale di integrazione, trovandolo puntualmente chiuso, scopro che il famigerato aperitivo della Monteviasco da bere, è esclusivamente all’ora di pranzo.
Il Circolo, unico centro di aggregazione del paese, è infatti aperto dalle dieci alle dieci e quindici del mattino, orario della pausa caffè del personale della funivia; e dalle undici e trenta alle tredici circa. Il resto della giornata tutto tace.
E’ una mattinata calda, anche se passando nei vicoli l’aria gelida dell’ombra punisce i pensieri primaverili. Il tintinnio delle gocce di neve sciolta dal sole che s’infrangono al suolo è continuo. La montagna di fronte ai miei occhi è quasi completamente bianca e gli alberi, sui quali la neve si è ormai sciolta, la punteggiano di grigio scuro.

Potete immaginare quanto questo piccolo bar sia una parte fondamentale di Monteviasco. E’ infatti il solo centro di aggregazione, il solo luogo pubblico, la sola piazza dove esibire una camicia nuova e la barba fatta di fresco. La mia barba sarà di un centimetro scarso, in compenso ho una nuova prestigiosa camicia scozzese bordeaux, beige e verde scuro da mettere in mostra davanti ai paesani.
Sto leggendo il giornale salutando con un cenno ogni persona che entra. Nella speranza di essere accettato senza l’etichetta dell’invadente.
I due macchinisti della funivia, la bigliettaia, quattro muratori che stanno lavorando alla casa affianco al circolo, il signor M. meglio noto come Pan’e’vin’ e il barista. Il barista mi accoglie con un gran sorriso, gli dico che ho trovato la sistemazione che stavo cercando quando ci eravamo parlati (e che lui finse di non aver la minima idea di come fare per aiutarmi) in precedenza e ricevo un semplice “So che ci sei, non ti preoccupare. Lo sappiamo tutti.”
Pan’e’vin’, presumibilmente novantenne, gusta forse il terzo bicchiere di barbera di una giornata probabilmente iniziata due ore prima.
Mentre al bancone si confrontano i bollettini meteo appresi dai vari canali tv, arriva Franco (nome fittizio), il pastore. Si stupisce di “Quanta gente da queste parti oggi!”, il macchinista della funivia, sbarbato di fresco, che un paio di giorni prima spingeva via le figlie perché non mi parlassero, mi dà le spalle esclamando ad alta voce un cordialissimo “c’è qualcuno di troppo. C’è qualcuno da mandare via.”


Ignoro, decido che è solo un’autosuggestione. Continuo a leggere il solo giornale del bar, è un quotidiano vecchio di una settimana. Il titolo in prima pagina allarma che la provincia di Varese è in testa alla triste classifica di consumo del territorio. Infatti, spiega l’articolo, la parte meridionale della provincia ha il peggior rapporto tra il territorio edificato e quello naturale. Parrebbe assurdo. Dove mi trovo, oggi 24 gennaio 2013, nella medesima provincia, il cemento armato non è ancora apparso.

La mia lettura è piacevolmente interrotta da una signora sorridente, pelle giovanile e sguardo sveglio. Vestita che pare reduce - qual’ora esistesse - dal raduno della sezione femminile Alpini di Bassano del Grappa.
Camicia scozzese rossa, beige e marrone, pantaloni in velluto verde scuro e per finire, un cappello con tanto di penna fissata sotto la fascia di raso. Mora, guance rosse e il corpo tonico di chi ama e vive la montagna.
Non fosse che mi ripete di chiamarsi Flora (nome fittizio) e di darle tu, giurerei d’avere davanti agli occhi Heidi in età pensionabile in carne, ossa e barbera.

Racconto quanto amo il suo paese per l’incredibile tranquillità. Perché non ci si rende nemmeno conto d’essere in campagna elettorale.
Non esistono edicole, né internet, né gli attacchini si spingono fin quassù ad appendere i loro manifesti pieni di sorrisi e promesse. Lei pare assolutamente d’accordo e appoggiando il bicchiere di rosso sul tavolo, si volta per un sorriso di approvazione. Un istante che non dimenticherò.
Ora posso scorgere, sotto il bellissimo cappello, il suo orecchio destro. Vi porta numerosi orecchini, tra cui uno piuttosto grosso e vistoso. E’ verde. Precisamente, di quel verde.
E’ uno stemma leghista fatto a orecchino.
Madame Lecaprettetifannociao ce l’ha duro e vota Bossi, Maroni, Borghezio, Calderoli.
I ricordi della mia infanzia vanno decisamente rivisti.

Perché Dio,
dove abbonda la poesia, mancano

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